domenica 30 marzo 2008

Non è mai troppo tardi

"Non è mai troppo tardi"

Titolo Originale: The Bucklet List
Regia: Rob Reiner
Genere: Commedia
Cast: Jack Nicholson, Morgan Freeman, Sean Hayes, Beverly Todd, Rob Morrow
Usa, 2007

Breve Trama: Uno scorbutico milionario e un pacifico padre di famiglia si ritrovano nella stessa stanza d’ospedale con pochi mesi di vita a causa del cancro: redigono “La lista del capolinea”, le cose da fare prima di morire.

Recensione: Jack Nicholson e Morgan Freeman insieme. Due grandi del cinema americano sfoggiano tutta la loro bravura in un film che sembra assemblare i caratteri di altri film dei due attori.

Nicholson ricco, incazzato, sbruffone, un po' cinico ma fondamentalmente solo e malinconico (un misto tra Schimdt, Harry di "Tutto può succedere" e Melvin di "Qualcosa è cambiato") e Freeman sereno, intelligente, con quell'aria serafica di una persona che ha raggiunto la pace spirituale (qui si intravede, malgrado si parli di film stilisticamente diversi, la personificazione divina nei film "Una settimana da Dio" e "Un'impresa da Dio"). Ma i due, anche se portano sullo schermo un riassunto della loro carriera, sanno il fatto loro e sono affiatati come una coppia di amici di lunga data.

Il film ci presenta, nella classica maniera americana, due persone completamente diverse, che non si conoscono e neppure avrebbero la possibilità di farlo. Appartengono a due mondi che non facilmente collidono, Edward (Nicholson) è il direttore strampalato di un ospedale, divorziato e donnaiolo, e Carter (Freeman) lavora in un officina, ha una famiglia e la stessa moglie da 30 anni. Il fattore che li unisce, in maniera di certo non geniale, è la malattia. Entrambi vengono ricoverati nella stessa stanza nell'ospedale di Edward e, come da copione, l'approccio non è dei migliori. La prima mezz'ora del film ci mostra supercialmente il calvario della chemioterapia, ma allo stesso tempo ci fa comprendere che tra i due sta nascendo un rapporto di amicizia, fatto di prime occhiate e battute che pian piano diventano dialoghi un po' più profondi e personali.

E si giunge all'aggancio della storia: la lista di "cose da fare prima di morire". Un foglietto di carta, pochi mesi per entrambi, tanti sogni nel cassetto. Ed ecco la scelta: compiere insieme un numero prestabilito di avventure prima che si chiuda definitivamente il capitolo vita. Dopo qualche titubanza, Carter accetta di seguire la lista insieme ad Edward.

Il film cambia registro, la malattia scompare completamente. I due cominciano una serie di sgangherate e anche un po' improbabili avventure che li portano in giro per il mondo. Certe situazioni sfiorano la banalità, altre fanno risaltare il personaggio burlesco di Nicholson, altre fanno ridere a crepapelle, e la sceneggiatura zoppica un po', mostrandoci una serie di luoghi comuni che però, grazie a due co-protagonisti, non vengono mai messi troppo in rilievo. La vicenda si riassesta col riaffiorare di problemi del passato (la figlia che Edward non vede da anni, la moglie di Carter che rivuole insistentemente il marito a casa) e, immancabilmente, con la ripresa del tema inziale della malattia.

I due stringono un forte rapporto, ed è forse questo l'elemento perno di tutto il film. Si fanno una promessa reciproca, che talvolta vacilla, talvolta viene offuscata dal richiamo delle proprie famiglie e responsabilità, ma torna sempre a galla, perchè di fondo c'è un'amicizia forte e sincera, che va aldilà di qualsiasi facile calcolo o svogliato senso del tempo che passa.

Sì, è vero, è la solita commedia edificante, che gioca sui contrasti e sulla morale, ma, tolte le trovate un po' imbarazzanti, mette in luce la semplicità dei rapporti tra le persone : quel rapporto che non sopravvive ma vive per entrambi (la morte per loro è vicina, quindi non c'è più tempo da perdere), quel rapporto che non giudica l'altro superficialmente ma che si spinge bel oltre gli errori umani che tutti noi, in qualche modo, siamo portati a compiere. Tra i due protagonisti si instaura un tacito consenso che è però fatto di presenza nella vita dell'altro; non si lasciano vivere ma si prendono per mano, per quanto possono, e sembrano dirsi "ce la faremo insieme".

Poi che il regista abbia scelto uno schema "doppio" e già largamente utilizzato (Morte/vita, ricco/povero, egoista/altruista, bianco/nero), in fondo, glielo concediamo.

Questo film non ha grandi pretese di spiegare la vita o di dare risposte, ma ci dice, ancora una volta, che di tempo non ne abbiamo molto e che ci conviene tenerci stretti gli attimi, e se per caso ci capita di incontrare qualcuno sul nostro cammino, magari qualcuno che è in difficoltà, possiamo cercare di stargli vicino, senza giudicare o descrivere la sua vita solo per fattori superficiali.

Il film lascia un sorriso stampato sulla faccia, anche se in qualche modo l'epilogo si delinea facilmente, e non sarebbe dei più felici.

Ma i due mattacchioni han fatto centro, il messaggio è arrivato.

Memorabile, nel finale, la gag del caffè, dove le risate sono spontanee e coinvolgenti.

Voto: 7.5

mercoledì 26 marzo 2008

Onora il padre e la madre

"Onora il padre e la madre"

Titolo Originale: Before the Devil knows You're Dead
Regia: Sidney Lumett
Genere: Drammatico, Thriller
Cast: Philip Seymour Hoffman, Ethan Hawke, Albert Finney, Marisa Tomei, Rosemary Harris, Amy Ryan, Sakina Jaffrey, Arijia Bareikis

Usa, 2007

Trama: Due fratelli, Andy e Hank, vivono serie difficoltà economiche. Il maggiore, Andy, escogita un piano: svaligiare la gioielleria dei loro genitori durante il turno di una anziana e indifesa signora. Ma quella che doveva essere una semplice operazione senza nè pistole nè violenza, va storta nel momento in cui Bobby, il ladruncolo ingaggiato per la rapina, cambierà le carte in tavola..

Recensione: La prima scena che lo schermo ci proietta addosso (soprattutto se sei seduto in terza fila) appena iniziato il film, è una scena di sesso che coglie di sorpresa e ammutolisce un pò tutti in sala: un flaccido e appesantito uomo di mezza età fa l'amore con una sexi e giovane donna. Lui in un attimo ci trasmette quella sensazione di viscido e di unto che ne caratterizzerà i tratti e gli atteggiamenti e che ne farà il ritratto psicologico meglio studiato e perfettamente descritto del film; Philip Seymour Hoffman sarà fenomenale nell'interpretazione del suo personaggio; lei, la bellissima Marisa Tomei, lo è talmente tanto che viene da chiedersi cosa ci faccia con l'altro. Non sappiamo chi sono, dove sono, di cosa stanno parlando, in quale universo spazio-temporale sono collocati. La seconda scena invece non ha più nulla a che fare nè con lenzuola appiccicose nè con loro, almeno apparentemente: è una rapina. É LA rapina. Quella intorno a cui ruoteranno protagonisti ed eventi, amore e odio, infelici coincidenze e vendette premeditate. É la rapina che 2 fratelli che non se la passano particolarmente bene decidono di organizzare nella gioielleria dei loro genitori: un giochetto facile facile. Niente armi, niente sparatorie, niente feriti, niente di niente. L'assicurazione che risarcisce i vecchi e un bottino che basti a Hank (l'espressivissimo e umanissimo Ethan Hawke) per pagare gli alimenti a una ex moglie e ad una figlia che lo considerano un fallito e ad Andy per fuggire a Rio dove il sesso con sua moglie Gina potrà tornare ad essere quello della scena iniziale, dove i problemi non riusciranno a trovarlo, più che altro dove gli avvocati della società che ha truffato non potranno rivalersi su di lui. "Non c'è accordo di estradizione tra Stati Uniti e Brasile": quella che tra le lenzuola di quella scena sembra una frase senza senso di Gina, troverà la sua giusta collocazione, come tutto o quasi in questo film che è un pò passato e un pò presente, in un circolo vizioso di sentimenti che non riescono a risalire in superficie. Gli eventi infatti non si susseguono nella maniera tradizionale e non si può nemmeno dire che il regista si serva del classico flash-back: ora è il giorno della rapina, ora è Andy 4 giorni prima, ora è Andy il giorno della rapina, ora è Hank la mattina stessa, ora è Hank 2 giorni prima. Così, tra continui sbalzi temporali che a volte affaticano e mettono a dura prova uno spettatore svogliato, le dinamiche di odio, di risentimento, di amore ci vengono svelate. Tutto a poco a poco appare chiaro, per quanto chiari possano essere i meccanismi contorti della natura umana. Quella rapina che, secondo i piani di Andy, sarebbe dovuta essere una passeggiata e che invece si trasformerà in tragedia, non è altro che l'inevitabile epilogo della storia di una famiglia imperfetta, come lo sono tutte del resto; ma se la scintilla della follia scocca anche in uno solo dei componenti, ogni vecchio rancore rischia di salire a galla e nessuno può uscirne illeso: la fatalità è la parola chiave. Andy non si è mai sentito parte di questa quadrata famiglia americana, non si sente nemmeno più figlio di suo padre, mette persino in dubbio il fatto che lo sia davvero, sono tutti così belli e lui così imperfettamente umano..sa che a breve la società per cui lavora arriverà a scoprire i numerosi ammanchi in un bilancio che finora era stato così bravo a far quadrare, il suo unico rifugio è un super-attico in centro a Manhattan di uno spacciatore di lusso che gli inietta eroina fluttuando nella sua vestaglia da geisha (unica scena a mio parere eccessiva del film..), il suo bilancio personale non gli quadra più da tempo e non può giocare con i numeri stavolta: quello che lui è, non è la somma delle sue parti, i conti non tornano. Forse è per sopperire a questo caos interiore che tiene maniacalmente in ordine il suo moderno appartamento, forse è per questo che neanche si scompone alla notizia del tradimento della moglie..si limita a rovesciare ordinatamente per terra vari oggetti di Gina. L'unica soluzione possibile gli sembra quella della fuga, ma non sarà abbastanza veloce. Giustizia deve essere fatta e nell'affannarsi per tentare di sistemare le cose, non farà altro che arrampicarsi sugli specchi. Se il male sa che sei morto, più che se "ci sono dei peccati che non dovrebbero essere commessi" - ma chi li traduce i titoli?? - è solo questione di tempo. Per ripristinare il giusto equilibrio, entrerà in gioco il padre dei 2 fratelli, in un gesto agghiacciante e spietato. Ancora più agghiacciante è la luce che invade lo schermo nella scena finale. Possibile che la vendetta sia l'unico modo per fare giustizia? Possibile che un padre possa arrivare a tanto? In fondo, bastano i fatti di cronaca per darsi una risposta. Nella vita, come in questo film, fare proprio il diritto di scegliere chi deve vivere e chi deve morire non è così lontano dalla sfera del possibile, è solo poco più in là della soglia tra follia e lucidità. Una volta oltrepassata quella soglia, il bilancio è compromesso, ma i conti, in un modo o nell'altro, devono comunque tornare..



[Voto: 7.5]

lunedì 24 marzo 2008

Prospettive di un delitto

"Prospettive di un delitto"
(Vantage Point)

Regia: Pete Travis

Genere: Thriller
Cast: Dennis Quaid, Matthew Fox, William Hurt, Forest Whitaker, Sigourney Weaver, Edgar Ramirez, Said Taghmaoui, Leonardo Nam
Usa, 2008

Breve Trama: Salamanca, Spagna: il Presidente degli Stati Uniti, durante un importante discorso "pacifista", viene colpito da due colpi di fucile. Seguono le esplosioni di due bombe. L'attentato viene (ri)visto da diverse prospettive e si scopre che...

Recensione: Un film che m'ha colpito al contrario, che m'ha provocato un urlo interiore che poi è diventato esteriore: "Vi prego, quando finisce." Ecco cosa ho urlato dopo un'ora ininterrotta di scene buttate sullo schermo come una pallina in un flipper.

Le riprese: impazzite. Si voleva dare l'effetto di movimento, di perdita del controllo, di confusione. E questo mi sta anche bene, ma ad un certo punto la telecamera fa quello che vuole, va dove vuole, non capisci i punti di vista, perdi il controllo non solo dell'immagine ma anche della vicenda, anche se in realtà non c'è più bisogno di capire nulla solo dopo mezz'ora dall'inizio del film. La camera è portata a mano, poi schizza su un carrello per in inseguire un'auto in corsa, poi si piazza su un tetto e vola in alto sopra la folla, poi torna giù sugli occhi di Dennis Quaid, poi sobbalza, schizza via, si frantuma, si riassembla. Smarrisci i punti di controllo e ti ritrovi con un senso di nausea da visione distorta.

La trama: non so che dire. E' assurdamente messa in piedi con la colla vinilica. Tristemente banale, ripetitiva, patriottica e moralmente corretta. Nella totale confusione, tutto poi torna al suo posto, con la classica visione dell'America vincente, l'America che si rompe ma non si spezza (un po' come nel recente "Io sono leggenda").

Il film parte con tutte le buone intenzioni, e con una bella idea di fondo: mostrare le dinamiche di un delitto (che poi delitto non è) attraverso gli occhi di 8 diversi personaggi. Poi, una dopo l'altra, le visioni di queste pedine in gioco diventano quasi noiose, i dettagli non cambiano molto e si è costretti a rivedere la stessa scena iniziale, quella dell'attentato, per 8 volte consecutive. E non basta: ogni volta che un punto di vista è stato "esplicato", partono delle immagini in rewind che accentuano la banalità della trama stessa riducendo il film a livello di una produzione per cassetta.

La seconda parte del thriller, poi, ci presenta un classico inseguimento americano su strade dall'alto tasso di traffico urbano, in cui l'eroe di turno (un Dennis Quaid che ha solo tratteggiato il carattare del suo personaggio) spinge l'acceleratore, si schianta contro le auto in corsa ma ne esce indenne, quasi pulito, col il cravattino ancora al suo posto, e, dopo essersi rialzato, con tutta la masculinità che ha in corpo, urla un "togliti di mezzo!" al malcapitato autista dell'altro veicolo, come se questo pover'uomo fosse la causa di tutti i suoi mali. Agghiacciante.

Morti tutti i "cattivi", un violino metaforico si spinge sui sopravvissuti, facendo sbattere il film a livelli catacombali, riducendo in polpette ogni aspettativa, mettendo in luce ogni fremito americano e nebulizzando lo stesso genere thriller (ridatemi David Fincher).

Un film che vorrebbe tanto coinvolgere, ma che ti fa quasi odiare la scelta narrativa delle "8 prospettive".

Tra l'altro, ancora mi chiedo che fine abbiamo fatto i due agenti della CIA mandati a rincorrere un fantomatico killer.

Mah.

PS: Bellissima la locandina (che spreco..)

Voto: 4/5



mercoledì 19 marzo 2008

Il mio amico giardiniere

"Il mio amico giardiniere"

Titolo Originale
: Dialogue avec mon jardinier
Regia: Jeane Becker
Genere: Commedia
Cast: Daniel Auteuil, Jean-Pierre Darroussin, Fanny Cottençon, Alexia BarlierHiam Abbass, Elodie Navarre, Roger Van Hool, Michel Lagueyrie
Francia, 2007

Trama: Un pittore affermato lascia Parigi per dare una sistemata alla casa della sua infanzia, in campagna, nella speranza di sottrarsi così alla crisi sentimentale e alla mancanza d’ispirazione che lo hanno colpito. Grande la gioia, quando il pittore scopre che il giardiniere assunto per aiutarlo nei lavori è un amico di antica data.

Recensione: Nella mia misera, ma sentita esperienza, credo siano principalmente due le cose che possono accadere con i film francesi: li si ama, o li si odia. Se scrivo questa recensione è perchè del dialogo tra il pittore e il suo amico giardiniere, io me ne sono decisamente innamorata. Sullo sfondo di un paesino di campagna, alle porte di Parigi, lontani dal caos e dalla frenesia di una qualunque città, i 2 protagonisti di questa semplice, ma commovente commedia ritrovano quello che li ha legati nella loro lontana infanzia e rispolverano una profonda e pura amicizia; e noi, lontani dai rutilanti block-buster rumorosi possiamo trovare il piacere di goderci le rarefatte atmosfere della campagna francese, i suoni della natura, l'importanza dei piccoli particolari, la bravura degli attori che interpretano i loro personaggi con maestria. Uno di loro è un pittore di fama con un matrimonio che sta fallendo e la voglia (ma anche la necessità) di trovare nuove ispirazioni, nuovi soggetti per i suoi quadri; sarà per questo motivo che abbandonerà il suo prestigioso atelier di Parigi per ritirarsi in campagna, in quella che era la casa dei suoi genitori. L'altro è un anonimo ferroviere con una passione, quella del giardinaggio (se avesse potuto scegliersi il nome, sarebbe stato nientemeno che "Del Prato") che si occuperà per puro caso dell'orto di "Del Quadro" (ovviamente..!), il pittore, suo vecchio compagno di scuola, e per lo stesso puro caso lo aiuterà a ritrovarsi. Senza bisogno di effetti speciali, incredibili scenografie o grandi nomi, questo film mi è entrato dentro con la sola forza della parola. Tutto si basa sui dialoghi infatti, gli sfondi sono essenziali: perlopiù il giardino incolto della casa d'infanzia di Del Quadro, il suo studio parigino - ma solo per poche scene - la casa "in stile molto più classico" di Del Prato, una fredda stanza di ospedale..senza svelare troppo, è chiaro fin dall'inizio che qualcosa dovrà succedere..e infine il lago. Dove i 2 amici fanno i conti con gli occhi della morte che sono in realtà quelli di una grande carpa, ma basta spingersi un pò più a fondo per cogliere quello che non si vede, ma c'è; credo sia questo il vero significato da recepire e fare proprio della storia dei 2 amici: non bisogna essere un'artista di fama per andare oltre, per varcare la soglia impercettibile che divide la realtà dall'immaginazione; Del Prato è un ferroviere che ha vissuto modestamente, che in 27 anni di matrimonio ha fatto sempre gli stessi 2 identici viaggi ogni sacrosanto anno con "la moglie", eppure è proprio lui che sa descrivere l'oceano con tutti gli altri sensi tranne quello più ovvio, la vista, e non è cosa da poco. Del Prato è un ferroviere, ma ha una passione: quella del giardinaggio, e nell'amore per le sue verdure diventa pittore, musicista, poeta. Con il suo linguaggio semplice, pratico, essenziale come tutto il resto, riesce comunque a fare il salto e a "vedere", più in là del solo guardare. Gli mancheranno i mezzi e a quel punto chiederà aiuto a chi è più pratico con colori e pennelli per riuscire nell'intento di lasciare qualcosa di lui anche quando non ci sarà più. Perchè in fondo questa è una delle cose che accomuna tutti noi, che accomuna anche 2 vecchi compagni di scuola che hanno intrapreso strade diverse: il desiderio di eternità. Farla in barba alla morte e impregnare di noi un qualcosa che rimanga qui e ora, anche dopo il nostro passaggio, che sia una tela, che sia un'orto coltivato..Con la sua camicia a quadri e le sue buffe pantofole, anche Del Prato sente questo lontano bisogno dentro di lui, lo esprime in piccoli gesti come nella ripetuta lotta con il solito pesce che ogni volta rigetta nel lago, ma la sua arte, quella del giardinaggio, non è certo inferiore a quella di un pittore affermato, che, se da un lato più autorevole, dall'altro a volte deve essere pietosamente piegata al cliente, o alla commissione. Il personaggio del giardiniere è quello che ho amato di più, ma sono rimasta piacevolmente colpita anche dal pittore perchè avevo paura che potesse accadere qualcosa di sgradevole, la battuta infelice sentita per sbaglio, l'incomprensione tra 2 persone così diverse..e invece anche la figura dell'artista, benestante, colto, affermato, non cade in stupidi pregiudizi. Bastano l'intelligenza, la cortesia e la gentilezza per comprendersi anche a distanza di anni e per riuscire a ridere insieme come nell'infanzia che rivive nei ricordi degli anni delle elementari, quando erano solo 2 bambini che combinavano disastri. Nel dialogo con il suo vecchio amico, Del Quadro ritroverà la passione che gli stava morendo dentro nella verità di pochi soggetti, semplici ma pieni di significato, come un coltellino e un pezzo di spago. Semplici, ma pieni di significato, come questa dolce storia di amicizia.



[Voto: 8]

domenica 2 marzo 2008

Sweeney Todd: Il Diabolico Barbiere di Fleet Street

"Sweeney Todd: Il Diabolico Barbiere di Fleet Street"

(Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street)
Regia: Tim Burton
Genere: Musical/Horror
colore 120 minuti circa
Cast:Johnny Depp, Helena Bonham-Carter, Alan Rickman, Timothy Spall, Sacha Baron, Cohen, Ed Sanders
USA, 2007

Trama: In una cupissima Londra di metà ottocento, il barbiere Benjamin Barker, aiutato da Mrs. Lovett, cerca la sua sanguinosa vendetta contro l’uomo che lo ha separato dalla sua famiglia.

Recensione:
Tanto sangue. Fiotti di sangue. Fiumi di sangue. Sangue che percorre il film e ne traccia ogni istante. Sangue che gioca tra le fessure e si pone come narratore silenzioso di una vicenda drammatica ma poco avvincente.
Il sangue di Burton, finto, artificiale, rassicurante. "In fondo è solo finzione".
Parto dalle note assolutamente positive: il cast, la scenografia e l'ambientazione. Superbi.
Johnny Depp è cupo e agghiacciante al punto giusto; nei suoi occhi si legge un demoniaco dolore che esprime la frustrazione della perdita e dell'ingiustizia. La sua lama è come una spada, ed è il parallelo infernale delle forbici di "Edward (Mani di forbice)".
Helena Bohnam Carter, nel ruolo di Mrs. Lovett, è pallida ed espressiva, manipolatrice come una vera donna innamorata. I duetti di questi diabolici protagonisti sono i migliori, i più sorprendenti e, a dirla tutta, i meno noiosi. E il sangue è il centro anche del loro rapporto, s'insinua nei dialoghi, goccia dopo goccia, scandendo i tempi di un pericoloso gioco senza lieto fine.
La scenografia e l'atmosfera ricreata è completamente di matrice burtoniana.
Una Londra buia, grigia, fumosa, umida e quasi disumana. Gente di passaggio, vestita di colori altrettanto spenti; persone che camminano come zombie tra le sagome di alte case dall'aspetto poco rassicurante.
Il fumo esce dai comignoli e gioca col cielo, basso e nefasto, e parla di morte per tutto il film. Parla di alienazione, di bene e male, di presagi, di vendetta e di tragedia.
Solo per qualche minuto, inaspettatamente, si apre un cielo azzurro di campagna simile a quelli di "Big fish". E si intravedono le burle e i sogni tipici dei film del regista, messi in scena dai desideri di Mrs. Lovett (l'amore in fondo riesce ad aprire squarci di luce anche nel nero più macabro).
L'ambientazione rievoca "La sposa Cadavere", ma in questo caso è completamente negato il fattore ironico e buffo, il fattore caricaturale. La morte non vive in un'altra dimensione ma è vicina a tutti, e si manifesta sotto mentite spoglie. La morte corre sulla lama di un rasoio.

La trasposizione cinematografica di un musical, in questo caso, ha penalizzato il film, almeno dal mio punto di vista. Il ritmo arranca dietro le canzoni, alcune scene sono iniettate negli occhi dello spettatore, mentre le musiche alienano le orecchie, senza creare suspence, stupore, rabbia, paura o altri sentimenti. Non ci sono coinvolgimenti, tutto rimane lì, in bella mostra sullo schermo; le canzoni si rincorrono senza stupire e rimangono poco impresse nella mente. Burton ha voluto sì giocare con le voci, cercando di farne la messa in scena dei caratteri personali dei protagonisti, ma in alcuni punti ci si aspetterebbe un dialogo parlato che dia una tregua alle orecchie, che faccia decollare il film, che smorzi l'orchestra e ci faccia riavvicinare ai rumori dell'ambientazione.
La vicenda non raggiunge un climax, le situazioni sono già anticipate, affrescate col sangue.
Testa dopo testa, poco di nuovo ci si aspetta dall'intreccio, che si spegne senza che ci si è realmente resi conto dell'accaduto.
Si rimane lì, davanti ai titoli di coda, con un senso di insoddisfazione e con un commento ben chiaro: "mi aspettavo qualcosa di diverso". Non so neppure cosa mi sarei aspettato, ma questo Burton è .. poco Burton.
Poca poetica, un film che strizza l'occhio molto più spesso al genere splatter, ma che nello stesso tempo non ci dona raccapriccio o disapprovazione.
I personaggi sono lì, delineati sulla linea del rasoio, e si affacciano al bene e al male in egual modo. Sono eroi e antieroi nello stesso tempo.
Ma Burton, questa volta, ha fallito il compito di farci immedesimare, manca completamente la personificazione.

"Sweeney Todd", quindi, è un film riuscito dal punto di vista visivo: è stato cioè in grado di fare ciò che il teatro non è in grado di ricreare in maniera sensoriale e tridimensionale; ha composto una scenografia che chiaramente la versione musical non poteva permettersi. Il palco non deve cambiare, i frammenti sono ricomposti col montaggio, i tempi possono accorciarsi, le luci sono perfettamente integrate con gli ambienti.
Ma dal punto di vista narrativo, il film avrebbe forse potuto dare di più.
In fondo i film di Tim hanno quasi sempre puntato su una forte dose di coinvolgimento. "La morte è più vicina di quanto si possa pensare, e, se vista dal verso giusto, può anche divertire".
Ma stavolta no, è una morte lontana, poco buffa.
Tanto sangue. Fiotti di sangue. Fiumi di sangue.

Voto: 7-