martedì 29 luglio 2008

Bobby

Regia: Emilio Estevez
Genere: Drammatico
Cast: Con Harry Belafonte, Joy Bryant, Nick Cannon, Laurence Fishburne, Brian Geraghty, Heather Graham, Anthony Hopkins, Helen Hunt, Joshua Jackson, Shia LaBeouf, Lindsay Lohan, Demi Moore, Sharon Stone, Christian Slater, Martin Sheen, William H. Macy, Ashton Kutcher, Elijah Wood, Mary Elizabeth Winstead, Freddy Rodriguez.

114 minuti, USA , 2006

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Vale aveva ragione, un'altra volta. Ma lo so già, mi fido di lei in questi casi, anzi, direi che mi fido di lei, punto. Un film corale alla Altman, c'ho messo troppo per farlo girare sul mio schermo, forse per pigrizia o per risultati mentali affrettati. Il film volevo vederlo sul serio, ma il cassetto della memoria era in stand by. Vittoria, ce l'ho fatta.

La storia siamo noi, siamo un assemblaggio di volti, siamo inutili tensioni nervose e siamo sguardi inermi e fragili, e sembriamo piccoli e frammentati, siamo parte solo di noi stessi e del nostro cerchio, ci sembra di non avere voce in capitolo. Siamo parole e parti vitali che sorridono e si muovono e si intersecano e vanno vicino e lontano come automobili davanti ad un hotel.

Siamo diverse stagioni della vita, siamo tante, troppe solitudini, e siamo lavoro e vita, passione e amore, siamo giovane vecchiaia e anziana giovinezza. E siamo sogni, siamo una discarica di sogni, molti di essi ci accomunano solo con pochi, altri sono aperti al tutto, all'umanità, a discorsi forse spesso troppo grandi per risultare credibili. Anzi, troppo alti per risultare ascoltabili. Ci sarà sempre chi non capirà, chi avrà da ridire, chi troverà ingiusta la giustizia e farà parlare solo tante, troppe giustificazioni (dis)umane. Troppi colpi di pistola e troppe voci spezzate nel ricordo di oggi e di domani.

Estevez non sarà convincente al 100% nel profilare i personaggi (così come ho letto in parecchie recensioni), forse sì, è vero, alcuni risvolti umani restano caricaturali, alcuni volti rimangono un po' sfuocati e poco approfonditi, ma il quadro commuove e rende partecipe più di alcuni film di Altman (ma i paragoni devo per forza essere presenti?), e più di tutto, non si resta indifferenti.

Tutto parte dalla lacrima, almeno nel mio caso. Se scende, è fatta. Il film potrà pure avere qualche lacuna nel senso stretto della sceneggiatura (ma non nella regia, quel giro di telecamere sui volti dei protagonisti è da brividi), ma a livello sensoriale esprime molto, moltissimo, e prende alla gola.

Un cast da brividi, tutti immedesimati nella parte, tutti pronti a far scattare il punto focale e a schizzare in una sorta di direzioni unilaterale. Un destino solo davanti a molti occhi, come se una luce colpisse più punti allo stesso modo. E colpisce anche noi, immobili davanti allo schermo.

Ci accomunano molte più cose di quanto pensiamo, sembra dirci il film, anche se tutti quanti siamo un'isola (riguardo il personaggio di Anthony Hopkins, eccolo, non vuole tornare a casa. Lì non c'è più nulla, c'è solo solitudine. Anche nell'hotel ce n'è, ma è la sua solitudine) e affrontiamo la vita in modo diverso.

Scene memorabili: Freddy Rodriguez regala i suoi biglietti al collega. Razza, diversità, no, solo amicizia. // Sharon Stone taglia i capelli al marito, pronuncia tanti frammenti di parole, la telecamera gira intorno facendoci sentire desolati. Unsaid.// Anthony Hopkins aspetta Kennedy, come avrebbe fatto allora. Si legge un orgoglio che solo lui può comprendere. // Ogni personaggio è coinvolto, alla fine, in una sorta di standby emotivo, in un vortice di attesa e dolore che li rende un tutt'uno.

Sottolineature: La regia, attenta e corale; i protagonisti, tra tutti Anthony Hopkins e Sharon Stone; la colonna sonora di Mark Isham, perfetta e sospesa come un ricordo latente; la fotografia e i rimandi al passato, lugubri come campane funebri.

Da vedere perchè: Storia e storie, vita e vite. Quando un singolo aggettivo più diventare un insieme.