lunedì 21 aprile 2008

Caramel

"Caramel"
Titolo Originale: Sukkar Banat
Regia: Nadine Labaki
Genere: Commedia/ Drammatico
Cast: Nadine Labaki, Yasmine Elmasri, Joanna Moukarzel, Gisèle Aouad, Adel Karam, Sihame Haddad, Aziza Semaan
96 minuti, Libano/Francia, 2007

Breve Trama: Donne che si incontrano nella Beirut di oggi, con un salone di bellezza quale epicentro delle chiacchiere, degli appuntamenti, come anche del nascere, dello sfaldarsi o del ricomporsi di rapporti sentimentali e affettivi di vario genere.

Recensione: Le storie al femminile mi affascinano da sempre, forse per il fatto che hanno molto da raccontare, forse perchè le donne hanno quel qualcosa in più, come i ricami usciti dalle mani sapienti di una nonna o come il profumo di un vecchio comò su cui sono appoggiati oggetti senza tempo.

Le donne contengono nei loro occhi dei misteri incalcolabili e spesso indecifrabili, si nascondono dietro folte capigliature o trucco di ogni tinta e colore, si celano dietro rossetti e sguardo fiero, mentre mascherano storie forse infinite, storie di cui non vogliono parlare o di cui sanno raccontarne solo una parte.

"Caramel" è una prova di stile, è una poesia tutta al femminile in cui la protagonista (Nadine Labaki) si cimenta sia davanti che dietro la cinepresa, decorando la pellicola con una forte capacità espressiva, aprendoci delle finestre e donandoci delle piccole chiavi per scoprire segreti e sogni di alcune donne; fragili, sognatrici, indaffarate, buffe e tristemente ironiche, ma sempre sensuali e ricche di sfumature come caramello appena sciolto.

Un film apparentemente leggero, in una Beirut scrutata con un altro punto di vista: non più guerre, bombardamenti, paura; in questo film tutto si tinge di vita, di lavoro, di traffico automobilistico, di ceroni e belletti, di tinta e trucco, di mesh, di profumi. Queste donne libanesi, moderne, occidentalizzate, sfoggiano la loro procacità, i loro occhi furtivi e luminosi, i loro seni prorompenti, la loro libertà, forse ancora stretta in alcune leggi che non decadono nel pensiero popolare. La donna, lo si intende in alcuni momenti del film, ha acquistato un valore nella società ma allo stesso tempo vive per alcuni passaggi fondamentali, tra cui il matrimonio e la sottomissione morale al marito ("Mia cara, tu ora dovrai vivere per il tuo signore e marito.." esclama la madre di Nisrine prima del matrimonio della figlia), e il sesso è un elemento fortemente implicito nei rapporti coniugali (La donna deve arrivare al matrimonio pura). Allo stesso tempo, l'elemento intimo, la verginità, viene, col passare del tempo, inteso alla maniera occidentale: avere ancora il ciclo è sinonimo di giovinezza, come insegna una delle protagoniste, ossessionata dalla rughe e sempre pronta a darsi una ritoccatina per poter passare umilianti ed estenuanti provini nonostante l'età che avanza.

E' anche un film sull'amore, sul tradimento, sui contrasti, sull'amicizia, sulla solitudine, sulle aspettative. E' un film di sguardi, immensi sguardi rotondi e morbidi, talvolta segnati dal tempo e dalla stanchezza, talvolta caldi e intensi come la passione umana. Personaggi corali affrescati un po' in stile Almodovar (il parallelo con "Volver" è implicito), vividi e reali e allo stesso tempo un po' sollevati da terra, come se in realtà non ci fosse un come e un dove, e forse neppure un perchè; e tutto sà parlare, anche uno specchio o piccoli fogli di carta, mentre i battiti scorrono e il sole tramonta dietro una strada che porta al domani.

E' un film generazionale, gioventù, mezza età e vecchiaia a confronto: donne che partono per la vita, donne che non vogliono fermarsi e vorrebbero far parte ancora della prima categoria, donne che hanno vissuto un'intera esistenza in una sartoria, e che all'amore devono rinunciare, non credono più di essere adeguate e il trucco non dialoga più con il viso, la pelle parla di cose andate che non possono essere recuperate.

Sapiente la telecamera, che s'infila negli interni, scova i movimenti degli occhi, accentua la luminosità delle pupille (gli occhi di Layale, la protagonista, sono un toccasana..), mette in luce i gesti e sà essere presente dove ci vuole qualcosa in più.

Un film che sono certo può risultare noioso, per chi lo guarda con l'ottica del ritmo. Perchè non ci si abitua al fatto che certi gesti hanno bisogno di tempo, certe espressioni non hanno fretta, e per capire meglio bisogna stare in silenzio per qualche istante, senza aspettare la scena successiva.

Bellissima quella donna misteriosa che entra nel locale quasi in punta di piedi, danzando sensualmente in un rito consolidato (il lavaggio dei capelli) e lasciando sottointese altre storie d'amore, quelle tra due donne.

E' un ritratto femminile leggero/non leggero, anche qui dipende da chi guarda e da che tipo di specchio si usa per riflettervisi dentro.

Voto: 9



sabato 5 aprile 2008

Away from her - Lontano da lei

"Away from her - Lontano da lei"

Regia: Sarah Polley
Genere: Drammatico
Cast: Julie Christie, Gordon Pinsent, Olympia Dukakis, Deanna Dezmari, Michael Murphy

Canada, 2007

Trama: Fiona e Grant, sposati da più di quarant’anni, vivono un’esistenza serena, Ma l’Alzheimer di Fiona progredisce e la decisione del ricovero in un istituto specializzato diventa inevitabile.

Recensione: Bianco, sfumature, neve, riflessi, lana e vapore. Questa può essere la memoria umana, talvolta, così labile e fragile da non percepire più l'essenza delle cose, i ricordi, il calore della vita, dell'abbraccio.

Questo è l'Alzheimer, e questo è l'elemento che come un pennello tratteggia le frasi poetiche di questo film. Un film delicato e melodioso; una melodia triste fatta di sguardi atrocemente segnati dal dolore, ma anche una melodia della speranza, del vero amore, della libertà del lasciare amare.

Un film che fa i conti con la realtà, quella realtà che gioca a dadi col destino e improvvisamente toglie la stabilità, toglie i gesti, l'odore di caffè della propria casa, le sciate sulla neve e l'odore dei corpi, che si sono conosciuti, si sono amati e hanno combattuto certe battaglie, resistendo per 44 anni.

Brent (un fantastico Gordon Pinsent) e Fiona (un'insuperabile, eterea e dolcissima Julie Christie) si trovano ad affrontare una problematica umana e spiazzante. Perdere la memoria è atroce, lo è inizialmente per chi comprende di smarrire le tessere del puzzle, poi, man mano che la situazione peggiora, lo è per chi è stato parte dei giorni, parte dei respiri e degli attimi che hanno ricamato una vita intera.

Brent, distrutto, affronta un amaro distacco, inizialmente fisico, poi mentale e sentimentale. Fiona si ricovera personalmente in una clinica e dimentica del tutto la sua vita con il marito, ne ricostruisce un'altra tra le mura di quell'ospizio e si lega affettivamente ad un altro paziente, Aubrey, sposato anch'egli da molti anni con Marian. La mente ha ricombinato gli affetti, Brent è un esterno, un visitatore che si sente ripetere "verrai tutti i giorni, vero? Sei proprio insistente." , una persona che per Fiona sembra apparsa dal nulla, sfumata come i colori e i ricordi di un'Irlanda ormai lontana.

Il destino ha dato tutto e ha tolto subito dopo, in un soffio di gelidi rimpianti, in cose dette e poi dimenticate, negli occhi blu della protagonista, nella speranza di un ritorno.

Il film inizialmente danza sul ghiaccio, in un delicato fremito di attimi intermittenti: presente, passato, ancora presente, poi un passato ancora più lontano, fatto di spruzzi di immagine sfuocate, sillabate, frammentate. Poi si ricompone nel presente, mentre Fiona perde il controllo di se stessa; quel suo nuovo amore, così semplice e fanciullesco, le viene portato via senza spiegazioni, e il suo nuovo equilibrio cade.

Brent invece non ha molto a cui appoggiarsi, ha sempre vissuto per la moglie, forse senza rendersene davvero conto; è come svuotato della sua essenza vitale, e tenta di riappropiarsi dei suoi attimi, senza però intromettersi nella vita della moglie. Cerca di farla felice, perchè è questo che vuole, e con lo svolgersi della storia, anche le tessere, tristemente naturali, ridimpingono nuovi incontri, nuovi equilibri, che esaltano la vita, il rispetto per chi si ama, e tutto è plasmato con delicati e sapienti dialoghi.

"Amare non è ricordare", è il primo messaggio del film: l'amore risiede in un posto più lontano dalla mente, e se i ricordi sfuggono, è l'unica cosa che può restare e può farti rivivere nel calore altrui.

"Non è mai tardi per diventare quello che puoi essere" è il secondo messaggio, esclamato dalla giovane infermiera Kristy, che ha un bagaglio di sofferenza diverso da quello di Brent; una sofferenza causata da quel tipo di memoria che è stata cancellata di proposito, quella dimenticanza che porta ad essere esclusi senza ragione dalla vita altrui. A lei viene affidata la battuta che chiude il senso del film, e fa rinascere un nuovo seme.

Lo stesso messaggio lo racchiude il personaggio di Marian (Olympia Dukakis, espressiva e romantica, perfetta nel suo ruolo), moglie di Aubrey, che entra nella vita di Brent inaspettatamente, ma che gli ridona un senso, e che passionalmente esclama: "Qualche volta bisogna prendere una decisione, quella di essere felici."

Un film stupendo, la fotografia (di Luc Montpellier) è orchestrale, poetica, come le immagini che ci portiamo dentro.

Un film da riflettere, da rivedere, da gustare.

Un film sulla memoria dell'amore, non sulla memoria della mente. C'è davvero differenza, non capita spesso di rendersene conto.

Voto: 9